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   Giornata della Memoria

27 gennaio: GIORNATA DELLA MEMORIA

( legge 20 luglio  2000 n. 211 )

10 febbraio: GIORNO DEL RICORDO

( legge 30 marzo  2004 n.92 )


Ogni anno il 27 gennaio ricorre la Giornata della Memoria, non perché bisogna ricordare, ma perché non si possono dimenticare gli orrori perpetrati dagli egoismi nazionali. La Seconda Guerra Mondiale e la tragedia dell’olocausto rivivono attraverso le vicende personali di centinaia di italiani che aiutarono gli ebrei a sfuggire alla furia nazista. Le testimonianze e il ricordo dei protagonisti riportano alla luce frammenti di storia per lo più sconosciuti al grande pubblico. Ed è appunto in questo contesto che emergono i profili di Giovanni Palatucci, ultimo Questore di Fiume Italiana e dello zio vescovo Mons. Giuseppe Maria Palatucci. Personaggi e testimoni sono gli ebrei internati dal 1940 al 1943 a Campagna, una cittadina del salernitano,i compianti Mons. Alberto Gibboni, all’epoca parroco della Cattedrale, ed Albertino Remolino, ex partigiano e sarto di professione. I LUOGHI DELLA MEMORIA sono il Palazzo Vescovile, sede della curia della già Diocesi di Campagna ed i conventi di San Bartolomeo e della Concezione. Durante il secondo conflitto mondiale e dopo che furono promulgate le leggi razziali l’Episcopio fu adibito a Commissariato di Polizia ed i due monasteri a Campi di Concentramento per Internati Civili di Guerra. Gli ebrei arrivavano a Campagna come dei veri e propri prigionieri, incatenati ed in fila indiana e subito dopo venivano schedati; ci sono ancora oggi elenchi con nome, cognome, data di nascita, paternità, professione e nazionalità. LE PAROLE DELLA MEMORIA sono: SHOAH, ANTISEMITISMO, TRAGEDIA dell’OLOCAUSTO, QUESTIONE EBRAICA, ATROCITA’ della GUERRA, GENOCIDIO, STERMINIO DI MASSA, SOLUZIONE FINALE o TOTALE, INTERNAMENTO, DEPORTAZIONE, forni crematori del campo di concentramento di DACHAU, cittadina ad una ventina di chilometri da Monaco di Baviera, camere a gas di AUSCHWITZ - BIRKENAU in Polonia. I NUMERI DELLA MEMORIA sono: ufficialmente risultano 700.000 gli ebrei salvati grazie al contributo della Chiesa cattolica; circa 5.000 furono gli ebrei salvati da Giovanni Palatucci; in quel periodo, purtroppo, 6.000.000 (sei milioni) di ebrei, tra uomini, donne e bambini furono trucidati. I NUMERI DEL RICORDO:350.000  italiani costretti all’esodo dalla Dalmazia,dall’Istria e da Fiume,città quest’ultima dove ricoprì l’incarico di Questore Reggente Giovanni Palatucci .Ironia della sorte, per una strana coincidenza,il giorno del ricordo corrisponde proprio alla data della morte del martire irpino, avvenuta a Dachau, nel lager della vergogna per peste petecchiale. Per non dimenticare un numero imprecisato di morti massacrati, martiri delle foibe.

 

L’ESEMPIO STORICO di GIOVANNI PALATUCCI


Scelse di rimanere uomo in mezzo ai “lupi”. La nobile figura del giovane funzionario riaffiora e si staglia per immensa umanità e decisioni coraggiose. Per 6 anni, sin dal novembre 1938, quando vengono promulgate le vergognose leggi sulla difesa della razza, Giovanni Palatucci nell’esercizio delle sue funzioni di Commissario di Pubblica Sicurezza e di Questore di Fiume si prodigò in una intensa azione di salvataggio di migliaia di perseguitati, soprattutto ebrei. E ciò effettuava fornendo permessi speciali, o attuando azioni di depistaggio nei rastrellamenti tedeschi o favorendo la fuga all’estero e l’istradamento nei centri italiani meno esposti, come i due campi di concentramento per internati civili di guerra di Campagna, il convento domenicano di San Bartolomeo e quello della Concezione (quest’ultimo oggi ridotto a rudere).

Il poliziotto Palatucci rappresentò un ultimo riferimento di salvezza per tutti, un “canale” di uscita dall’immane tragedia ed una speranza di libertà. Egli testimoniò mirabilmente le idealità in cui credeva ed alle quali restò fedele fino ad essere deportato nel campo di sterminio di Dachau dove, a soli 36 anni, ebbe compimento il suo olocausto. Giovanni Palatucci morì il 10 febbraio 1945, dopo aver subito circa quattro mesi di stenti e sevizie. Prima dell’arresto da parte della polizia di sicurezza germanica, pieno di amarezza, Giovanni Palatucci confidò ad un amico: “Ci vogliono dare ad intendere che il cuore sia solo un muscolo e ci vogliono impedire di fare quello che il cuore e la nostra religione ci dettano”.

Presso il Vicariato di Roma per riconoscere le eroiche virtù di Giovanni Palatucci, ultimo questore di Fiume italiana e martire per la fede, per la scelta profondamente etica che gli costò la vita è in corso un processo canonico (causa di beatificazione) e si è conclusa la prima tappa a S. Giovanni in Laterano a Roma, alla presenza del Cardinale Camillo Ruini.


Giovanni Palatucci era il nipote del Vescovo Giuseppe Maria Palatucci. L’eminente presule resse le sorti della Diocesi di Campagna dal 1937 al 1961. Figura colta, autorevole, severa, intelligente, dotata di straordinari sentimenti di umanità e di generosità. Mons. Palatucci in alcune testimonianze dell’epoca affermava: “dal primo momento che gli Israeliti vennero a Campagna li trattai da fratelli, più che amici e diedi direttive al mio clero e al mio popolo, sicché gli ebrei stettero a Campagna non come in campo di concentramento, ma come se fossero stati in villeggiatura, poiché ad essi non mancasse assolutamente nulla per vivere, se non agiatamente, certo decorosamente”. A Pio XII, ricordato come il “Papa del silenzio”, si rivolse invece mons. Palatucci per ottenere consistenti sussidi per le necessità degli ebrei internati, che venivano personalmente assistiti dal vescovo. In una intervista mons. Palatucci affermò: “Ho fatto dinanzi a Dio tutto quello che potevo e posso dire che la mia opera, come quella di mio nipote, si inquadra molto bene nell’opera grandiosa che tutta l’Italia, tutta la Chiesa in Italia, con a capo il Santo Padre, i vescovi, i sacerdoti e i fedeli hanno svolto a favore degli ebrei”. Mons. Giuseppe Maria Palatucci fu un esempio di umanità ed offrì tutta la sua francescana disponibilità, collaborando con il nipote che operava instancabilmente a favore di ebrei, rifugiati politici, bisognosi e di tutti coloro che oggi noi cataloghiamo, chissà perché, tra gli “ultimi”.

Il compianto Albertino Remolino nasce a Campagna l’8 giugno 1917 ed ha testimoniato sulla fattiva collaborazione instauratasi tra Giovanni Palatucci e lo zio vescovo mons. Giuseppe Maria Palatucci durante il periodo di internamento degli ebrei a Campagna. Dal 1938 Remolino prestò servizio militare a Fiume dove rimase, anche se in modo non continuato, fino al giugno 1945.

Il partigiano Albertino Remolino fece la spola tra il questore di Fiume e lo zio vescovo a Campagna, portando lettere con le notizie sugli internati. Albertino dai membri del Comitato Giovanni Palatucci, presieduto da Michele Aiello, è stato ribattezzato “ l’inconsapevole postino degli ebrei”. Il giovane militare Remolino ignorava completamente il contenuto delle missive. Nella testimonianza, Remolino spiega una strategia adottata da Giovanni Palatucci: smistare verso i campi di internamento “protetti” ebrei altrimenti destinati ai campi di sterminio, anche con l’aiuto dello zio, Giuseppe Maria Palatucci, vescovo di Campagna.

Mons. Alberto Gibboni, scomparso il 15 gennaio 2004,alla veneranda età di novantacinque anni. Sacerdote, amico, maestro, uomo di vasta e profonda cultura don Alberto fu seminarista a 17 anni.

Fu ordinato sacerdote il 10 agosto 1934, nel Duomo di Campagna, dal vescovo Pietro Capizzi.

E si sa, si è “sacerdos in aeternum”. Circa 70 anni spesi con bontà d’animo e con incommensurabile generosità al servizio della comunità ecclesiale, civile e scolastica. In questa brevissima, ma assai significativa espressione potrebbe essere racchiusa la vita di don Alberto Gibboni, che il 10 agosto 2004 avrebbe festeggiato il settantesimo anniversario di sacerdozio. Nel corso degli anni fu parroco della Basilica Cattedrale, Delegato Vescovile ed, infine, Vicario Generale della Diocesi di Campagna con Mons. Giuseppe Maria Palatucci, di felice memoria ed indimenticato Vescovo.

Laureato in Lettere ha scritto speciali epigrafi per futura memoria, e tra le tantissime altre pubblicazioni “Vetera et Nova”, mettendo ben in evidenza la sua preparazione e le sue ampie conoscenze sia teologiche che giuridiche, per inciso ricordiamo che don Gibboni era anche dottore in giurisprudenza, con Licenza in Sacra Teologia e Diritto canonico. Don Alberto Gibboni, umanista e storico, confermandoci quanto da lui scritto in un suo libro, ricorda di numerosi Ebrei che in quel tempo “ a porte chiuse, in barba alle leggi razziali che comminavano arresto, multa e ammenda, furono da mons. Palatucci e da me battezzati, cresimati e sposati”. Alla fine del mese di ottobre del 1940 nel “ liber baptizatorum” della Cattedrale di Campagna, dove don Gibboni era parroco, è riportato il battesimo di due ebrei internati convertitisi: WERTHEIM FRIEDRICH e LOWY GEORGE. La particolarità dell’evento consiste nel fatto che entrambi portano come secondo nome “ ALBERT “.

Don Alberto, classe 1909, da qualche anno era affetto, purtroppo, da completa cecità, ma questo pur grave malanno fisico che lo aveva colpito non aveva scalfito minimamente il suo forte animo di uomo e di sacerdote.

Il suo corpo era minato, ma il suo spirito integro, tanto da donare cristianamente al Signore le sue circa 30.000 (trentamila) messe celebrate. Queste e tante altre sono piccole storie di grande umanità che serviranno alle giovani generazioni per rievocare la memoria storica del passato e proiettarla nel futuro.


  Carmine   Granito